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Iperplasia gengivale: cos’è, cause e cura

L’iperplasia gengivale è una patologia che consiste nella crescita abnorme del tessuto gengivale, il quale arriva a coprire ampie parti dei denti, talvolta rendendo addirittura difficoltose la masticazione e l’articolazione delle parole.

L’aumento incontrollato delle dimensioni delle gengive è provocato da un’infiammazione acuta del tessuto gengivale che può essere provocato da vari fattori, tra cui l’assunzione di alcuni tipi di farmaci.

Purtroppo questa patologia causa gravi problemi di autostima alle persone che ne soffrono, dal momento che causa deficit estetico significativo. Fortunatamente si tratta di una patologia che è possibile trattare sia attraverso un approccio farmaceutico sia attraverso un approccio più pertinente alla chirurgia.

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Iperplasia gengivale – cosa è

Come già accennato, l’iperplasia gengivale è l’aumento incontrollato del numero delle cellule delle gengive, che finiscono per inglobare i denti al loro interno impedendo una corretta masticazione e addirittura una corretta disposizione dei denti.

I sintomi più comuni dell’iperplasia, conosciuta anche come ipertrofia gengivale, sono:

  • gengive sovradimensionate e infiammate
  • alitosi
  • dolore acuto durante la spazzolatura dei denti
  • difficoltà durante la masticazione e l’articolazione delle parole.

È stato constatato che l’iperplasia si manifesta più spesso in soggetti maschi e giovani, soprattutto se trascurano o eseguono in maniera insoddisfacente l’igiene orale quotidiana. Infatti, anche se non sempre la presenza di placca è una causa sufficiente al manifestarsi dell’iperplasia, è certamente un fattore aggravante di questa condizione della bocca.

Se si manifesta in bambini tra i 5 e i 12 anni, cioè nel periodo in cui i denti decidui vengono sostituiti dai denti permanenti, l’eruzione dei denti permanenti potrebbe risultare ritardata o avvenire in maniera disordinata.

Oltre a generare problemi nello svolgimento di funzioni necessarie all’organismo come il nutrirsi, l’iperplasia è un grosso ostacolo alla vita sociale del paziente che ne soffre, il quale può arrivare a trovare difficile sorridere, parlare o mangiare in pubblico.

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Iperplasia gengivale – cause

L’infiammazione delle gengive che scatena l’ipertrofia gengivale può essere causata da vari fattori, tra i quali il più comune è la scarsa o scorretta igiene orale.

La placca è infatti la causa più frequente dell’infiammazione gengivale, non soltanto in pazienti che soffrono di iperplasia, ma anche nei pazienti che soffrono di altri tipi di patologie.

Nel tentativo di combattere l’infezione causata dalla placca, le gengive tendono a ingrossarsi, arrossarsi e sanguinare ed è questo che dà origine ai principali sintomi dell’ipertrofia gengivale.

Tra le possibili cause dell’iperplasia si annoverano anche i cambiamenti ormonali che si verificano in gravidanza nel corpo delle donne. Una volta portata a termine la gestazione, cioè a parto avvenuto, i livelli ormonali delle donne tornano a livelli normali e si assiste a un naturale e spontaneo regredire dell’iperplasia gengivale.

Purtroppo anche il diabete, la leucemia, l’HIV, il morbo di Crohn, il diabete, il linfoma e carenze vitaminiche di vario tipo possono comportare l’iperplasia gengivale. In questi casi il trattamento di queste patologie è in grado di far rientrare o comunque di indurre la diminuzione dell’iperplasia.

Alcune molecole farmacologiche come la nifedipina (un farmaco calcio – antagonista), la ciclosporina (un immunosoppressore) e la fenitoina (un antiepilettico) sono tra le cause dirette dell’iperplasia.

Ci possono essere infine cause genetiche ereditarie per l’iperplasia gengivale: l’incidenza di questo problema è di 1 caso ogni 350.000 individui. In questo caso le gengive non appariranno infiammate, ma rosee e in piena salute. Il loro accrescimento abnorme è dovuto semplicemente a un’eccessiva produzione di collagene da parte dell’organismo.

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Ipertrofia gengivale – cura

L’iperplasia gengivale può essere curata risolvendo le cause dell’infezione gengivale.

Dal momento che la placca è la causa più frequente di infezione, è sufficiente indurre il paziente ad eseguire una continua, corretta e costante igiene dentale grazie all’utilizzo di strumenti adeguati come spazzolino (possibilmente elettrico), scovolino o filo interdentale, collutorio antibatterico. Sarà inoltre buona abitudine sottoporsi periodicamente all’igiene orale professionale.

Se la causa scatenante dell’iperplasia è la terapia farmacologica con i farmaci già elencati, la sospensione della terapia e la sostituzione dei farmaci in questione sarà l’unica cura possibile per la risoluzione del problema.

Quando l’iperplasia si presenta per cause genetiche, l’unico modo per liberare i denti e rendere più semplice la masticazione è agire per via chirurgica, rimuovendo con il laser o con il bisturi il tessuto gengivale in eccesso. Non bisogna dimenticare però che il tessuto gengivale tornerà ad accrescersi a causa della continua produzione di collagene, quindi potrebbe essere necessario sottoporre il paziente a uno o più interventi successivi di gengivectomia.

Un’alternativa, sempre di tipo chirurgico, è un intervento nel lembo parodontale, che consiste nell’apertura delle gengive, nella rimozione chirurgica della placca annidata sotto le gengive e sull’osso, quindi nel riposizionamento delle gengive più in basso rispetto alla condizione iniziale. L’obiettivo di questo intervento è di limitare la quantità di placca presente in prossimità delle gengive e favorire una più veloce guarigione dell’infiammazione. Inoltre il riposizionamento delle gengive consente di lasciare scoperta una porzione di dente sufficiente alla masticazione.

Leggi anche l’articolo: Rigenerazione ossea dentale: cos’è e quando farla

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Rigenerazione ossea dentale: cos’è e quando farla

La rigenerazione ossea è una particolare tecnica di ricostruzione che si esegue su pazienti che soffrono di malattie paradontali, che sono stati sottoposti ad interventi di rimozione dentale che hanno ridotto la consistenza dell’osso mandibolare o mascellare o semplicemente hanno perso uno o più denti.

Questa tecnica consente di ripristinare lo spessore, l’altezza e la solidità dell’osso compromesso al fine di poter operare su di esso innesti dentali e altri interventi.

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Rigenerazione ossea dentale: definizione

La rigenerazione ossea dentale è una tecnica chirurgica molto all’avanguardia che consiste nell’applicazione di miscele di osso sintetico e osso organico sull’osso da rigenerare, fornendo quindi all’organismo la materia prima necessaria a ripristinare il volume osseo laddove è carente.

L’innesto osseo viene sempre protetto da una membrana, che impedisce alle cellule gengivali di svilupparsi al di sopra dell’innesto. Questo accorgimento è necessario poiché le cellule gengivali si sviluppano molto più velocemente di quelle ossee, e potrebbero ricoprire l’innesto prima che le cellule ossee si siano moltiplicate come desiderato.

Questa tecnica si utilizza generalmente a seguito di carenza di perdite o estrazioni dentali che hanno compromesso la solidità dell’osso mascellare, malattie paradontali, rimozione di cisti e neoplasie, osteoporosi, erosione dell’osso in un paziente che ha portato a lungo una protesi mobile.

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Rigenerazione ossea dentale: tipi di innesto

Le tecniche utilizzate per questa pratica sono essenzialmente due:

  • Rigenerazione con membrane riassorbibili

Questa tecnica prevede l’applicazione di un innesto osseo particolato, composto da osso sintetico e osso biologico (proveniente da animali, prelevato dallo stesso paziente o da un donatore), al di sotto di una membrana progettata per essere riassorbita dai tessuti e fissata con un micro pin in platino. Quando la membrana si sarà disciolta il dentista dovrà soltanto rimuovere il pin. Questo tipo di membrana è particolarmente utile negli interventi necessari a ripristinare lo sviluppo orizzontale dell’osso.

  • Rigenerazione con membrane non riassorbibili

Il sistema di applicazione è identico al precedente, ma la membrana non riassorbibile viene utilizzata per ripristinare ossa profondamente danneggiate, che hanno perso principalmente millimetri in altezza o contemporaneamente altezza e spessore. Questo tipo di membrana permette di risolvere anche problemi molto gravi: è realizzata in politetrafluoroetilene espanso con un’anima in titanio ed è fissata con pin o microviti in titanio.

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Decorso post-intervento e benefici

Dopo l’intervento è strettamente necessario che il paziente eviti alcool, fumo e caffè per almeno 3 giorni, al fine di non compromettere la corretta cicatrizzazione dei tessuti.

Successivamente si deve disinfettare la ferita con collutorio antibatterico evitando di sfregare la zona con uno spazzolino. Si può utilizzare uno spazzolino a setole morbide sulla zona circostante la ferita solo alcuni giorni dopo l’intervento.

La rimozione dei pin ed eventualmente della membrana avviene 9 mesi dopo la loro applicazione e, successivamente, si può procedere a effettuare tutti gli interventi di chirurgia odontoiatrica necessari al paziente, come l’inserimento di impianti fissi.

Il principale vantaggio della rigenerazione ossea consiste nella possibilità di ripristinare completamente la funzionalità dentale preservando la fisionomia del paziente. Si tratta inoltre di un’operazione praticamente indolore poiché viene solitamente effettuata con un paziente in anestesia vigile.

Leggi anche l’articolo: Anestesia dal dentista: funzionamento e tipologie

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Anestesia dal dentista: funzionamento e tipologie

Per moltissimi pazienti l’immagine della sedia del dentista è direttamente collegata al dolore che si prova nel corso delle visite. Fortunatamente però l’odontoiatria ha sviluppato una serie di procedure anestetiche estremamente efficaci e versatili che, nella stragrande maggioranza dei casi, non sviluppano effetti collaterali.

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Anestesia dal dentista: funzionamento

L’anestesia dal dentista viene utilizzata esclusivamente nel corso di piccoli o grandi interventi di chirurgia odontoiatrica. Il professionista sceglie, tra le varie tipologie di anestesia che gli è possibile praticare, quella più adatta al caso specifico e alle necessità del paziente.

In linea generale l’anestesia dal dentista, per il paziente, si risolve nella vaporizzazione di uno spray anestetizzante (nei casi in cui sia necessaria una breve e leggera anestesia locale) o in una piccola puntura indolore sul luogo interessato dall’intervento.

L’anestetico che viene iniettato nel paziente contiene solitamente lidocaina, mepicavacaina, bupivacaina e articaina in diverse concentrazioni, a seconda della profondità dell’anestesia che si intende ottenere.

Oltre all’anestetico si inietta nel paziente anche adrenalina che, grazie alla sua funzione vasocostrittrice, riduce il rischio di emorragie e allunga il tempo di efficacia dell’anestetico.

L’obiettivo dell’anestesia è indurre una perdita di sensibilità nella zona da trattare affinché i nervi non trasmettano al cervello gli stimoli dolorosi: così facendo non vengono percepiti.

La durata dell’anestesia viene calibrata sulla durata dell’intervento da eseguire e in genere il suo effetto scompare nel giro di 3 o 4 ore dal momento dell’iniezione. Bisogna specificare però che alcuni pazienti potrebbero smaltire l’anestetico più velocemente o più lentamente della media.

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Anestesia dentale: tipologie

Come già accennato esistono diversi tipi di anestesia dentale, ognuno dei quali in grado di rispondere a determinate esigenze cliniche.

  • Anestesia Superficiale – Si limita ad anestetizzare la mucosa e si ottiene attraverso l’applicazione di un gel o di uno spray anestetizzante. È di breve durata e il suo effetto è circoscritto alla sola area su cui viene applicato l’anestetico.
  • Anestesia d’Infiltrazione – Si effettua iniettando l’anestetico direttamente nei tessuti da trattare ed è in grado di anestetizzare i tessuti in profondità.
  • Anestesia Tronculare (o del blocco nervoso) – L’anestetico si inietta nei pressi di un nervo periferico, in modo da raggiungere un’area più estesa rispetto a quella che sarebbe possibile raggiungere con i due precedenti tipi di anestesia. Naturalmente non è un’anestesia superficiale ma interessa anche tessuti siti più in profondità.
  • Anestesia Intraligamentosa – È stata sviluppata per sostituire la tronculare nel caso di pazienti affetti da diabete o malattie coagulative che, se si usasse la tronculare, potrebbero sviluppare emorragie. È l’unica tecnica che può essere impiegata sia da sola, che in combinazione con altre.
  • Anestesia Intrapulpare – Si impiega esclusivamente per trattare la pulpite in quei pochi pazienti refrattari all’anestesia. Si tratta di un’anestesia estremamente localizzata dal momento che la sua efficacia si applica alla sola polpa dentale del dente da trattare e ha un effetto immediato.
  • Anestesia Totale – Dal dentista raramente si viene sottoposti ad anestesia totale, ma questo tipo di anestesia si rivela necessaria quando si deve sottoporre il paziente a interventi molto invasivi di chirurgia maxillofacciale.

Leggi anche l’articolo: Denti sovrannumerari: cosa sono e come trattarli.

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Denti sovrannumerari: cosa sono e come trattarli

I denti sovrannumerari sono denti in eccesso che possono nascere in un qualsiasi punto del cavo orale e che peggiorano sensibilmente la salute della bocca di chi è affetto da questa patologia, il cui nome scientifico è iperdontia.

Anche quando non comporta seri problemi ortodontici avere un dente in più, soprattutto nella zona visibile delle arcate dentali, ha un impatto notevole sulla psicologia del paziente, che percepisce come “imperfetta” l’armonia del proprio sorriso.

La gestione dell’iperdontia comporta quindi due ordini di vantaggi: uno certamente relativo alla salute clinica del paziente, l’altro relativo all’accettazione della sua immagine.

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Denti sovrannumerari: condizione clinica

I denti sovrannumerari sono spesso denti veri e propri completamente formati, che spuntano a seguito di una predisposizione genetica. Possono però presentarsi anche come denti dismorfici, cioè di forma e dimensioni anomale rispetto a quelle del dente sano di un adulto, o rudimentali: non completamente sviluppati.

Si presentano con più frequenza nei maschi, possono essere sia decidui sia permanenti e tendono a svilupparsi lungo l’arcata superiore più che nell’arcata mandibolare.

La presenza di denti in più rispetto ai 20 denti da latte e ai 32 denti permanenti che costituiscono il numero normale per un adulto sano, a livello clinico comporta malocclusione, rotazione dei denti adiacenti, sovraffollamento dei denti, favorisce inoltre la formazione di placca batterica e può dar luogo ad accumulo di carie e alla periodontite.

La placca batterica si forma e si accumula sui denti a causa di un’igiene insufficiente. Lavare accuratamente una bocca in cui siano presenti denti sovrannumerari risulta molto complicato proprio a causa della vicinanza e della sovrapposizione dei denti, quindi le infezioni sono una conseguenza inevitabile di questa condizione. Anche le sedute di igiene orale professionale possono risultare difficoltose in base al posizionamento riscontrato.

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Dente sovrannumerario: diagnosi e trattamento

Come già detto, un dente sovrannumerario può nascere in qualunque punto della bocca tuttavia la maggioranza dei casi riguarda la comparsa accanto agli incisivi e ai primi molari. Più raramente accade che un dente in più spunti in posizione più arretrata, addirittura dietro l’ultimo molare.

Se il dente non è in una posizione visibile, la diagnosi si effettua attraverso esami ecografici per cui viene coinvolto il reparto di radiologia, spesso richiesti dal paziente per capire la causa del dislocamento di un dente sano oppure del ritardo nell’eruzione di un dente permanente.

Effettuare una diagnosi precoce è assolutamente fondamentale, poiché permette di trattare il dente sovrannumerario prima che si sviluppano problemi clinici come quelli già descritti.

Il trattamento dei denti sovrannumerari varia a seconda della loro posizione e anche del loro numero. Bisogna specificare comunque che fortunatamente nell’80% dei casi il dente in sovrannumero è uno solo e la sua estrazione risolve in maniera definitiva ogni problema.

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In alcuni casi, anche dopo la diagnosi si può scegliere di non intervenire sul dente in sovrannumero poiché esso non comporta al paziente disfunzioni masticatorie o problemi estetici particolari. Questa fortunata condizione si verifica quando i denti adiacenti sono riusciti a trovare spazio a sufficienza per erompere regolarmente dalla gengiva e quando la posizione del dente consente una pulizia corretta ed efficace della zona, evitando la formazione e l’accumulo di placca.

Leggi anche l’articolo: Gengive sanguinanti: cause e rimedi.

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Gengive sanguinanti: cause e rimedi

Le gengive sanguinanti sono un problema molto diffuso e, purtroppo, spesso sottovalutato. Il sanguinamento delle gengive può infatti essere indicativo di infiammazioni del cavo orale che possono comportare conseguenze anche gravi per la salute della bocca e in particolare delle gengive.

Riconoscere il problema precocemente, agendo quando il sanguinamento delle gengive non è ancora diventato troppo frequente, è fondamentale per prevenire patologie gravi per cui occorrerebbe poi un intervento di parodontologia.

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Gengive sanguinanti: cause

In genere il sanguinamento delle gengive è dovuto a una scarsa igiene orale che ha consentito l’accumulo di placca batterica e di tartaro sui denti e nei pressi delle gengive.

Sono infatti i batteri che formano la placca batterica a generare l’infiammazione che rende le gengive rosse, gonfie e sanguinanti.

Se l’igiene orale del paziente è sufficiente le cause potrebbero essere altre, tra cui:

  • sistema immunitario debilitato
  • sbalzi ormonali (causati per esempio dalla gravidanza)
  • spazzolamento troppo vigoroso durante la pulizia quotidiana
  • assunzione di farmaci anticoagulanti
  • dieta carente di vitamine

Quando l’infiammazione delle gengive è ai primi stadi si parla di gengivite. Quando il quadro clinico del paziente si complica si può manifestare la parodontite.

La parodontite si sviluppa quando i batteri che formano la placca batterica si annidano in sacche poste tra la gengiva e il dente. Nel tentativo di proteggersi dall’attacco dei batteri, la gengiva comincia a ritrarsi per proteggere l’osso alveolare. I denti si scoprono, appaiono più lunghi e cominciano a mostrare una particolare sensibilità dentale agli sbalzi di temperatura. Nei casi più gravi perdono la loro stabilità e finiscono con il cadere.

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Gengive sanguinanti: rimedi

L’accurata ed efficace rimozione quotidiana della placca batterica con l’utilizzo di prodotti e tecniche appropriate è un’attività a cui il paziente deve dedicarsi sempre con il massimo impegno, soprattutto se il problema delle gengive sanguinanti si presenta spesso.

Optare per un regime dietetico povero di zuccheri è inoltre fondamentale per velocizzare la risoluzione del problema.

Per quanto riguarda gli strumenti per l’igiene dentale è opportuno utilizzare:

  • spazzolini dalle setole non troppo dure
  • filo interdentale o scovolino
  • dentifrici formulati appositamente per le gengive sensibili o sanguinanti

Per quanto riguarda la tecnica il consiglio è quello di spazzolare i denti per circa due minuti, con movimenti rotatori e concentrici, dedicando circa due secondi a ogni dente: la forza impiegata non deve essere eccessiva per evitare di creare traumi ai tessuti molli.

La pulizia degli spazi tra dente e dente dev’essere eseguita in maniera estremamente scrupolosa, dal momento che è lì che si annida la maggior parte dei batteri che danno origine alla placca. Come già accennato però è fondamentale essere delicati.

Di solito una corretta igiene orale risolve molto rapidamente il sanguinamento episodico delle gengive ma, quando questo non dovesse bastare, è necessario rivolgersi al dentista per eseguire una o più sedute di igiene orale professionale rimuovendo la placca che non può essere rimossa solo con l’utilizzo di spazzolino e dentifricio.

È consigliabile inoltre sottoporsi a visita odontoiatrica almeno una volta ogni sei mesi al fine di individuare precocemente eventuali segni del ritorno dell’infezione.

Leggi anche l’articolo: Sindrome del dente incrinato: cause, sintomi e terapia.

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Sindrome del dente incrinato: cause, sintomi e terapia

La sindrome del dente incrinato è una patologia che colpisce principalmente i molari. Consiste in una lesione più o meno profonda del dente, che può provocare sia semplici fenomeni di ipersensibilità sia talvolta ascessi gengivali che indicano una situazione ormai grave e probabilmente irreparabile.

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Sindrome del dente incrinato: quali sono le cause?

Un dente incrinato è attraversato da una sottile lesione pressoché invisibile anche con esami approfonditi come un’ecografia dentale. La lesione può limitarsi alla corona dentale ma può anche raggiungere la polpa del dente, rendendo necessaria l’asportazione tramite intervento di chirurgia.

Sono esposti a lesioni dentali individui di ambo i sessi compresi in una fascia di età tra i 30 e i 50 anni.

Lesioni e incrinature sono provocate da diverse cause, tra cui una cattiva occlusione dentale oppure un’eccessiva pressione esercitata su un singolo dente (tipicamente il secondo molare inferiore) che finisce per incrinarsi. Il motivo più frequente per cui un individuo esercita una pressione eccessiva sui propri denti è il digrignamento di questi ultimi, in particolare durante le ore notturne: una condizione tipica del bruxismo.

Non mancano naturalmente cause imprevedibili e accidentali, tra cui la masticazione di alimenti molto duri (come caramelle, ghiaccio, prodotti da forno particolarmente secchi) o veri e propri incidenti durante i quali un dente in particolare subisce un forte trauma.

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Sintomi della frattura dentale

Gli strumenti diagnostici più utili per individuare una frattura dentale sono la notazione di un dolore episodico che si palesa quando il dente viene esposto a temperature molto calde o molto fredde manifestando sensibilità dentale oppure durante atti masticatori di cibi duri.

A livello visivo, un dente colpito da vecchie fratture è attraversato da sottilissime crepe di colore scuro, in netto contrasto con lo smalto dentale.

Non sono rari anche fastidi e dolori diffusi nella zona intorno al dente fratturato.

Un ascesso nella zona gengivale si manifesta esclusivamente nei casi più gravi, quelli in cui con ogni probabilità la lesione ha toccato la polpa vitale del dente.

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La cura della sindrome del dente incrinato

La diagnosi precoce dell’incrinatura di un dente è fondamentale, ma purtroppo è molto difficile, soprattutto perché spesso la lesione si sviluppa al di sotto del margine gengivale e risulta, per questo, completamente invisibile.

Se il dolore che il paziente avverte a causa dell’incrinatura del dente è insopportabile, il dentista procede all’immediata riduzione dei contatti di occlusione tra il dente incrinato e il suo diretto antagonista. In questo caso la terapia prevede la molatura dei due denti coinvolti.

Se la lesione non ha intaccato ancora la polpa dentale si effettua un restauro adesivo ceramico, cioè realizzando una corona completa a protezione del dente.

Nel caso in cui una lesione verticale abbia intaccato la polpa è necessario un intervento canalare del dente, che riduce drasticamente la sensibilità del dente, oppure un intervento di implantologia post estrattiva a carico immediato o differito. Quest’ultima soluzione, da preferire nei casi più gravi, consente di rimuovere il dente incrinato sostituendolo immediatamente con uno nuovo, senza necessità di intervenire anche sui due denti confinanti com’è necessario per l’impianto di un ponte dentale tradizionale.

Leggi anche l’articolo: Disodontiasi: cosa è, cause e terapia.

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Disdontiasi: cosa è, cause e terapia

Perché alcuni denti, come i famigerati denti del giudizio, spesso non fanno la loro comparsa normalmente, emergendo dalla gengiva in sostituzione dei denti decidui? Sono denti malformati? Il paziente è soggetto a una patologia a carico della bocca o delle ossa su cui si innestano le arcate dentali?

Non si tratta assolutamente di una patologia grave, ma soltanto di inclusione dentale e disodontiasi. L’individuazione precoce dei denti inclusi è fondamentale per evitare le conseguenze più spiacevoli della disodontiasi, che viene trattata con diverse strategie a seconda sia della gravità sia della posizione del dente incluso.

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Cos’è la disodontiasi?

La disodontiasi, o inclusione dentale, è una condizione dei denti permanenti: si verifica quando, per una serie di vari motivi, i denti permanenti non riescono ad eruttare dalla gengiva. 

parametri in base ai quali si classificano i tipi di disodontiasi sono essenzialmente tre:

  • Entità: un dente può risultare incluso in maniera totale o parziale, indicando in quest’ultimo caso un dente che è riuscito solo parzialmente a eruttare dalla gengiva.
  • Durata: l’inclusione del dente può essere permanente (il dente non erutta mai dalla gengiva) oppure temporanea (il dente emergerà dalla gengiva ma impiegherà un tempo più lungo rispetto al normale).
  • Posizione: un dente incluso può trovarsi in diverse posizioni rispetto all’arcata dentale dal quale si è sviluppato, cioè verticale, obliqua o orizzontale (quando il dente si trova completamente “coricato” sotto la gengiva, parallelamente all’osso che lo ha generato). A complicare la situazione c’è anche l’inclinazione del dente rispetto all’asse verticale: in questo caso può essere inclinato in senso vestibolare o linguale.

I denti che vanno soggetti a inclusione più spesso di altri denti sono i canini e i molari, con una menzione particolare per i cosiddetti denti del giudizio, che risultano molto spesso inclusi nella gengiva.

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Quali sono le cause?

Le cause dell’inclusione dentale possono essere diverse.

  • Mancata caduta dei denti da latte: il dente deciduo che non ha abbandonato l’arcata dentale potrebbe occupare il posto del dente permanente e quindi impedire la sua fuoriuscita.
  • Malocclusione dentale: anche leggera e pressoché invisibile è causa frequente della disodontiasi, poiché i denti che circondano l’area in cui il dente incluso dovrebbe eruttare hanno “invaso” il suo spazio.
  • Presenza di denti in soprannumero può sottrarre “spazio vitale” ai denti inclusi, che quindi non riescono a trovare spazio per eruttare e posizionarsi correttamente nell’arcata dentale.

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Terapie per l’inclusione dentale

Per gestire l’inclusione dentale si può operare secondo diversi approcci, che vanno naturalmente adeguati alla situazione e alle condizioni cliniche del paziente.

Se il dente incluso non provoca sintomi dolorosi con ogni probabilità il dentista deciderà per controlli periodici attraverso cui monitorare la situazione, al fine di intervenire al momento opportuno per gestire eventuali problemi.

Se un dente deciduo blocca l’eruzione del dente incluso sarà necessario programmare l’estrazione del dente: sarà necessario eseguirla almeno un anno prima del momento in cui il dente incluso dovrebbe normalmente eruttare dalla gengiva.

Se invece il problema è la mancanza di spazio lungo l’arcata dentale per vari motivi (denti in soprannumero, dentatura “disordinata” a causa di traumi pregressi o altre cause) si dovrà necessariamente intervenire utilizzando un apparecchio ortodontico per creare spazio nel punto in cui il dente incluso dovrebbe eruttare.

L’estrazione completa del dente, che è l’intervento più traumatico in assoluto, si sceglie invece se il dente incluso non è particolarmente necessario alla masticazione: è il tipico caso dei denti del giudizio che, come dice la tradizione popolare, spesso “esistono solo per essere tolti“.

Leggi anche l’articolo: Macchie sui denti: attenzione ad alcune bevande.

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Macchie sui denti: attenzione ad alcune bevande

L’erosione dello smalto dentale è la causa di diversi problemi dentali, tra cui l’aumento della sensibilità dei denti e anche la comparsa di antiestetiche macchie scure sulla loro superficie.

Lo smalto dei denti è più esposto al rischio di erosione durante l’estate, e questo a causa delle particolari abitudini alimentari che assumiamo durante il periodo della bella stagione. Le bevande tipiche dell’estate, come succhi di frutta e cocktail alcolici, nascondono infatti rischi non indifferenti per la salute dei nostri denti. Ecco quali sono quelle da evitare, quelle da assumere con moderazione e quelle che non sono poi tanto innocue quanto si pensa.

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Erosione dello smalto: cause e conseguenze

Lo smalto è uno strato traslucido che copre l’interezza del dente proteggendolo dai potenziali danni da fattori esterni. Appena sotto lo smalto si trova la dentina, il cui colore (che può variare dal bianco all’avorio) influenza in massima parte il colore naturale del dente.

Anche se lo smalto dentale è il materiale organico più resistente e mineralizzato del nostro corpo, non è affatto indistruttibile. In particolare, lo smalto che ricopre i nostri denti è particolarmente sensibile agli acidi. Gli acidi sono in grado infatti di indebolire e intaccare lo smalto dei denti, provocando crepe e piccoli danni attraverso cui le infezioni batteriche possono penetrare nel dente e intaccarne la polpa.

Tra le conseguenze dirette del danneggiamento dello smalto dentale c’è una maggiore sensibilità al caldo e al freddo, un’alterazione del colore dei denti e talvolta piccole scheggiature o crepe che possono comportare al dente danni più seri.

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Bevande che causano macchie sui denti

Tutti sappiamo che le bevande molto scure possono causare macchie sullo smalto dei denti. In particolare, finiscono sul banco degli imputati il caffè e il vino rosso, bevande che tendiamo a consumare nel corso di tutto l’anno e che macchiano i denti in maniera caratteristica.

Anche le bevande acide come i succhi di frutta (in particolare agli agrumi) e quelle alcooliche e molto zuccherine (come la stragrande maggioranza dei cocktail) danneggiano pesantemente lo smalto dei denti, così come il tè, soprattutto quello industriale molto dolcificato e aromatizzato alla frutta.

Le acque aromatizzate (sempre di produzione industriale) che si consumano in estate perché non contengono zucchero ma suoi sostituti, non sono poi così innocue per la nostra salute dentale: xilitolo, stevia e fruttosio danneggiano lo smalto dei nostri denti esattamente come il saccarosio.

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I consigli per salvaguardare lo smalto dentale anche in estate

Per minimizzare il rischio che i denti rimangano macchiati da bevande molto scure, come caffè e vino rosso si dovrà bere acqua prima e dopo l’assunzione della bevanda e attendere almeno 30 minuti prima di lavare i denti dopo aver bevuto vino rosso e caffè. Paradossalmente, infatti, l’azione del dentifricio aumenta il rischio che le sostanze coloranti penetrino nello smalto, alterandone il colore.

Per quanto riguarda invece cocktail e bevande zuccherate, un’ottima soluzione per evitare il contatto tra la bevanda e i denti è l’utilizzo di cannucce che conducono la bevanda direttamente sulla lingua.

Anche consumare gomme da masticare senza zucchero dopo aver bevuto bevande potenzialmente dannose per lo smalto dentale può aiutare a minimizzare i danni, poiché favorisce la produzione di saliva abbassando, di conseguenza, l’acidità della bocca.

Chiaramente la prevenzione è sempre la via migliore, tuttavia esistono terapie molto efficaci in ambito di estetica dentale per ripristinare il colore dei denti attraverso lo sbiancamento.

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Bruxismo: definizione, cause e rimedi

Il bruxismo è un disturbo comportamentale che influisce in maniera profondamente negativa sulla salute, sulla stabilità e sulla durevolezza dei denti. Associato principalmente al digrignamento notturno dei denti, questo disturbo è in realtà molto più complesso e, nella maggior parte dei paesi del mondo, assolutamente sottostimato.

Un tempo si credeva che le cause principali del bruxismo fossero relative esclusivamente alla malocclusione dentale, mentre oggi sappiamo che i danni creati da questa cattiva abitudine hanno anche origine da fenomeni riguardanti la sfera psicologica del soggetto. Tuttavia per risolvere definitivamente questa alterazione della salute del cavo orale occorrono delle terapie a livello odontoiatrico.

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Ampliare la definizione di bruxismo

A livello tecnico il bruxismo si definisce come una contrazione volontaria e apparentemente immotivata dei muscoli deputati alla masticazione.

Tale contrazione, che viene generalmente prolungata nel tempo, porta il soggetto a digrignare i denti, cioè a sfregare in continuazione i denti dell’arcata inferiore contro quelli dell’arcata superiore.

La conseguenza diretta di questo comportamento è che i denti finiscono letteralmente per consumarsi: la sensibilità dentale al caldo e al freddo aumenta notevolmente a causa della progressiva diminuzione della quantità di smalto che serve a proteggerli e naturalmente anche la loro stabilità viene compromessa.

Purtroppo gli interventi di endodonzia e implantologia, finiscono per venire compromessi a causa del bruxismo che vanifica otturazioni e impianti, divenendo di fatto inutili nella cura dei problemi di masticazione per i pazienti affetti da questo disturbo.

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Natura psicologica delle cause del bruxismo

Come già accennato, le cause del bruxismo vanno ricercate anche nella sfera psicologica del paziente e non esclusivamente in relazione al rapporto tra i denti e alle malocclusioni dentali.

Le ricerche mediche più recenti hanno infatti dimostrato che i pazienti che serrano o digrignano i denti (sia di giorno sia di notte) manifestano sintomi psicologici comuni:

  • ansia
  • stress e scarsa capacità di gestione dello stress
  • problemi emotivi in generale
  • disturbi del sonno accentuati da russamento e apnee notturne

Inoltre, una certa percentuale dei pazienti affetti da bruxismo ha abitudini sbagliate che incidono in maniera significativa sull’aumento del problema:

  • utilizzo o dipendenza da droghe
  • dipendenza da nicotina
  • dipendenza da alcool
  • assunzione eccessiva / dipendenza da caffeina

Se il bruxismo si manifesta invece nei bambini, una volta esclusi i fattori esclusivamente psicologici bisogna tener presente che la contrazione dei muscoli della masticazione può essere finalizzata ad alleviare dolori causati da otite o mal di denti che può essere a sua volta ricondotto a varie cause.

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Terapie e rimedi per lo sfregamento dentale

Dal momento che il bruxismo si manifesta sia a seguito di cause biologiche sia a seguito di cause di tipo psicologico, un trattamento efficace deve necessariamente tenere in considerazione entrambi questi aspetti della patologia.

La prima cosa da fare, dopo la diagnosi di bruxismo, è cominciare ad utilizzare un bite notturno che protegge i denti dallo sfregamento e quindi impedisce o comunque limita moltissimo la loro consunzione. Si tratta di un dispositivo modellato sulle arcate dentali di ogni singolo paziente, realizzato generalmente in resina.

Il bite dovrebbe essere prescritto a tutti i pazienti che soffrono di bruxismo, dal momento che attraverso il suo utilizzo si vanno a tenere sotto controllo le conseguenze di questo disturbo a prescindere dalle sue cause profonde.

In secondo luogo è necessario mettere a punto una terapia specifica per ogni paziente: un piano di cura personalizzato è più che mai necessario in un quadro clinico dove compare il bruxismo.

Se il bruxismo è causato o comunque peggiorato da malocclusioni dentali sarà allora necessario intervenire tempestivamente a livello odontoiatrico, considerando anche una rieducazione dei muscoli attraverso la fisioterapia temporo-mandibolare.

Infine, se l’alterazione persiste, sarà allora strettamente necessario rivolgersi a uno specialista per gestire e risolvere i disturbi della sfera emotiva che il corpo sfoga sulla bocca come “organo prescelto” per la manifestazione dello stress.

Leggi anche l’articolo: Traumi dei denti da latte: tipologie e terapia.

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Traumi dei denti da latte: tipologie e terapia

I traumi dei denti da latte molto spesso vengono trascurati o sottostimati. Si ritiene infatti che questi siccome sono destinati ad essere sostituiti da quelli permanenti, non necessitino di particolari attenzioni.

Si tratta di un approccio completamente sbagliato: la salute dei denti da latte, se non curata con estrema attenzione, può avere conseguenze pessime sulla qualità e sulla salute della dentatura permanente e anche sulla psicologia del piccolo paziente, che potrebbe sviluppare difficoltà a sorridere o a relazionarsi con le altre persone.

Scopriamo insieme al Dottor Andrea Gola, dentista a Casteggio, quali sono le tipologie e le terapie per i traumi della dentizione decidua.

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Tipologie e conseguenze dei traumi dei denti da latte

I denti da latte, esattamente come i denti permanenti, possono subire danni di vario tipo, principalmente a seguito di urti violenti. Gli episodi che portano al danneggiamento della dentatura decidua avvengono principalmente quando il bambino comincia a camminare (e non è ancora stabile sulle gambe) e quando il bambino comincia a dedicarsi a giochi di gruppo (cioè intorno agli 8 anni).

Ecco una panoramica dei tipi di danno che un dente da latte può subire:

  • Lussazione: si tratta di una dislocazione del dente, cioè di uno spostamento verso l’interno o verso l’esterno della bocca rispetto alla posizione corretta. A patto di intervenire subito, è possibile riposizionare il dente nell’alveolo e fissarlo. Se la lussazione è grave, è meglio estrarre il dente e sostituirlo con una protesi.
  • Fuoriuscita: perdita del dente che esce completamente dall’alveolo. Se è possibile raccogliere e conservare il dentino in acqua o latte, probabilmente il dentista riuscirà a reinserirlo al suo posto.
  • Contusione: a seguito di un urto, che apparentemente non ha danneggiato il dente, compare una macchia scura nello smalto ed è possibile che nella gengiva si generi un ascesso. Sarà strettamente necessario devitalizzare il dente tramite un intervento di endodonzia per evitare infezioni.
  • Frattura: una frattura superficiale della corona dentaria non espone la polpa. Se di lieve entità viene semplicemente levigata, in alternativa si procede alla ricostruzione del dente. Se al contrario, la polpa viene esposta a causa di una frattura profonda, bisognerà rimuovere il tessuto pulpare e medicare.

Un mancato o inefficace trattamento dei denti da latte può comportare diversi tipi di conseguenze sui denti permanenti:

  • Macchie
  • Ipoplasia (un intero dente di colore più scuro)
  • Crescita fuori sede
  • Malformazioni del germe dentale (paragonabile a un “embrione” da cui si origina poi il dente permanente)

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Terapia e reimpianto dei denti da latte

I denti da latte, come già accennato, vanno curati come i denti permanenti, dal momento che possono influire sulla salute di questi ultimi.

Fondamentali, a questo scopo sono la tempestività dell’intervento in caso di incidenti, la corretta diagnosi e, a seguito dell’intervento, controlli e monitoraggio del dente interessato dal trauma.

In merito al reimpianto dei denti da latte non si è ancora giunti a una conclusione unanime. Nella maggior parte dei casi, infatti, il singolo dentista decide se reimpiantare o meno il dentino caduto sulla base delle condizioni specifiche del piccolo paziente. C’è da tenere presente che, quando un dente deciduo viene espulso prima del tempo è necessario tenere sotto controllo il bambino dal punto di vista odontoiatrico per evitare “spostamenti” dei denti permanenti quando spunteranno.

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