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Asimmetria mandibolare: cos’è, rimedi

Diversi studi riportano che circa una persona su tre è affetta da asimmetria mandibolare. Si tratta di ricerche che prendono in considerazione popolazioni diverse con tratti somatici altrettanto vari. Questa varietà del campione è composta grazie ai database di ricerca medica che assicurano la validità dei risultati.

La maggior parte delle asimmetrie mandibolari diventano malocclusioni, ovvero chiusure errate delle arcate, mettendo così a repentaglio la salute della mandibola e della sua articolazione. In questo caso le statistiche parlano di circa il 70% di asimmetrie che sfociano in una malocclusione.

Oltre a essere considerate dei fattori di rischio, le asimmetrie mandibolari sono un problema anche a livello estetico. Spesso infatti sbilanciano le proporzioni del viso in termini di dimensioni, forma e posizione delle strutture scheletriche creando un disagio considerevole al paziente, soprattutto quando si trova in contesti sociali.

In questo articolo esploriamo a fondo le asimmetrie indagando le loro cause, le diverse tipologie e i rimedi ideali per trattarle. Prima di iniziare ricordiamo però che l’uomo non è un animale perfettamente simmetrico: una leggera differenza tra i due emivolti è del tutto normale ed è anzi un tratto caratterizzante della morfologia di ogni persona. Ci si deve rivolgere al dentista solo nel caso in cui la differenza sia particolarmente evidente o abbia subito un cambiamento repentino nel giro di qualche mese.

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Asimmetria mandibolare: cos’è

L’asimmetria mandibolare avviene quando le linee mediane o le arcate si discostano dalle posizioni ideali per ragioni dentarie o scheletriche. Nello specifico, l’asimmetria viene calcolata in base alla distanza tra i 3 punti centrali: Pogonion, Gnathion e Menton. Se lo scarto è inferiore ai 2 mm l’asimmetria è lieve, fino ai 4 mm è moderata per poi tramutare in grave oltre i 4 mm.

Chi è affetto da asimmetria mandibolare sperimenta una mancanza di armonia e simmetria tra i lati del viso. Questo fatto comporta dei disturbi temporo mandibolari nel lungo periodo.

Le cause di una mandibola asimmetrica possono essere principalmente tre:

  • Familiarità: trasmissione genetica e tratti comuni in famiglia possono trasferire l’asimmetria di generazione in generazione.
  • Crescita: uno sviluppo impari della struttura facciale produce in tarda età una mandibola asimmetrica.
  • Traumi e infezioni: qualsiasi trauma facciale, frattura o infezione delle aree dell’articolazione temporomandibolare può portare a un’asimmetria facciale e mandibolare.

Nella maggior parte dei casi un’asimmetria mandibolare sfocia in un caso di malocclusione. Le malocclusioni possono presentarsi su tre piani: verticale, trasversale e anteroposteriore.

Chi ha una malocclusione verticale può avere un morso aperto (non riesce a chiudere i denti) o un morso eccessivo (l’arcata superiore copre più di un terzo dei denti inferiori).

Nel caso di malocclusioni sul piano trasversale si ha o il morso incrociato (quando porzioni dell’arcata superiore sono all’interno di quella inferiore) o il morso a forbice (le cuspidi dei denti non entrano a contatto).

Infine, per le malocclusioni anteroposteriori abbiamo la retrognazia (quando l’arco superiore è più avanzato di quello inferiore) o il prognatismo (quando l’arcata inferiore è davanti a quella superiore).

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Asimmetria mandibolare – rimedi

La cosa più auspicabile per il trattamento dell’asimmetria mandibolare è agire in tenera età. Fino agli 11/12 anni il bambino è ancora nel pieno del suo sviluppo osseo e l’ortodontista è in grado di guidarne la crescita.

Si consiglia di rivolgersi al dentista fin da subito, soprattutto nei casi di asimmetrie mandibolari genetiche o che si manifestano all’inizio della crescita. In questi casi la soluzione è l’installazione di apparecchi fissi o mobili che correggono la forma della mandibola e ne bilanciano lo sviluppo.

Quando si parla di adulti la soluzione è più lunga e complessa. Una volta che le ossa hanno terminato la loro crescita è difficile intervenire se non con un intervento chirurgico. Naturalmente si opta per questa soluzione soprattutto nei casi più gravi, mentre per le sintomatologie lievi si preferisce applicare piccole correzioni tramite l’ortodonzia utilizzando bite e allineatori invisibili. In questi casi l’obiettivo è lavorare di fino cercando di ripristinare il prima possibile un sorriso simmetrico.

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Asimmetria mandibolare – intervento chirurgico

L’intervento chirurgico per trattare l’asimmetria mandibolare può essere di due tipologie: monomascellare o bimascellare. Nel primo caso il chirurgo agisce solo su una delle ossa mandibolari o mascellari, mentre nel secondo su entrambe. Per l’asimmetria mandibolare l’ intervento è invasivo sia che sia monomascellare o bimascellare, dunque il periodo postoperatorio sarà di media-lunga durata.

L’asimmetria mandibolare e la relativa malocclusione non sono però da considerarsi completamente curate semplicemente con la chirurgia. Una volta che le ossa sono state riportate al loro stato ideale e simmetrico, bisogna infatti lavorare sulla dentatura in modo tale che questo cambiamento non vada perduto.

All’intervento si abbinano sempre dei bite e degli allineatori che correggono la posizione dei denti e supportano il nuovo assetto di mandibola e mascella. Dentro la nostra bocca vivono costantemente numerose forze che si contrastano e si oppongono tra loro: è compito del dentista e dell’ortodontista mantenere queste forze in equilibrio per assicurare al paziente una vita serena e un sorriso perfetto.

Leggi anche l’articolo: Corticotomia ortodontica: tecnica, efficacia, risultati

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Corticotomia ortodontica: tecnica, efficacia, risultati

Negli ultimi anni un numero crescente di adulti chiede di eseguire degli interventi di ortodonzia. Si tratta spesso di persone che da piccole non sono riuscite a frequentare il dentista o a cui durante la crescita la dentatura è peggiorata. Il problema di cominciare un percorso di ortodonzia con soggetti maggiori di 22 anni sono i tempi della terapia. In un adulto infatti i denti non sono così mobili come in un bambino: crescendo si perde in parte la loro motilità perché si stabilizzano sempre più fermamente in una posizione specifica rispetto all’osso.

Il fattore crescita allunga quindi inevitabilmente i tempi della terapia e spesso questo fatto si scontra con la volontà del paziente, che proprio perché adulto vorrebbe risolvere la propria condizione il più velocemente possibile. Esiste una tecnica volta proprio ad aumentare la velocità di trattamenti ortodontici negli adulti: la corticotomia dentale.

La corticotomia ortodontica prevede un’incisione ossea che induca uno stato di osteopenia transitoria focale, ovvero una riduzione temporanea della massa ossea. L’incisione può essere più o meno invasiva in base alla gravità del caso trattato e nella maggior parte dei casi assicura una riduzione del 60% dei tempi della terapia.

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Corticotomia ortodontica: tecnica

Le origini della tecnica della corticotomia dentale risalgono all’inizio del 900. In questi 120 anni sono stati fatti diversi passi avanti, soprattutto in fatto di tecniche e strumenti a disposizione. Oggi la corticotomia viene fatta seguendo due tecniche fondamentali, una generalmente più invasiva e l’altra meno.

La prima, quella più diffusa, consiste nell’incidere con una fresa chirurgica la corticale del tessuto osseo alveolare eseguendo due tagli verticali e uno orizzontale. Esiste una variante a questa tecnica che prevede l’esecuzione di incisioni puntiformi invece che lineari. L’intervento avviene sotto anestesia locale.

La seconda prevede l’utilizzo di un manipolo piezoelettrico e un’incisione meno invasiva detta piezocisione. Si tratta sempre di tagli lineari verticali eseguiti in maniera automatica dalla macchina. Per far sì che la piezocisione funzioni, viene fatta una scansione 3D delle arcate e viene creata una guida per il manipolo per aumentarne la precisione.

Entrambe le tecniche sono valide e riportano buoni risultati nel diminuire la durata della terapia ortodontica in pazienti adulti. Nel prossimo paragrafo vedremo quali sono i casi in cui sono più efficaci e quando invece è preferibile non utilizzarle.

 

Corticotomia dentale: in quali casi va utilizzata

Sono diversi i casi clinici in cui la corticotomia ortodontica è stata utilizzata e ha dato dei buoni risultati. Ecco di seguito i più frequenti.

  • Affollamento dentario anteriore dato da denti sovrannumerari. Differenti autori dimostrano l’efficacia della corticotomia nel trattamento dell’affollamento dentario in pazienti adulti. In questo caso si può optare per incisioni poco invasive per ottenere il risultato desiderato entro circa 17 settimane contro le 49 solitamente necessarie.
  • Promuovere l’eruzione in arcata di elementi inclusi. La corticotomia può essere utilizzata anche per il recupero di elementi inclusi accelerando il loro riposizionamento in arcata. Solitamente si tratta di canini inclusi nel palato.
  • Accelerare la distalizzazione dei canini dopo l’avulsione dei primi molari. In questo caso la corticotomia ortodontica porta la durata del trattamento a circa 12 giorni.
  • Promuovere le espansioni ortodontiche. La rapida espansione di tipo ortopedico comporta cambiamenti morfo-strutturali notevoli che richiedono un grande sforzo di adattamento ai tessuti. La corticotomia punta a facilitare questo processo rendendo più facili i movimenti.
  • Intrusione molare e correzione dell’open bite. In questi casi si riesce a risolvere il quadro clinico in un tempo all’incirca di 6 settimane.
  • Altri casi. La corticotomia ortodontica può essere utilizzata anche in altri casi. In generale, qualsiasi operazione ortodontica che implica uno spostamento della posizione dei denti in un adulto può beneficiare della corticotomia.

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Corticotomia ortodontica: risultati e controindicazioni

Esistono delle eccezioni, dei casi in cui la corticotomia dentale non è consigliata. Nello specifico, se il paziente ha una malattia parodontale attiva, una recessione gengivale o un’infezione orale è meglio non inficiare ulteriormente i tessuti con delle incisioni.

Anche una protratta terapia a base di corticosteroidi, FANS o inibitori delle prostaglandine rappresenta una controindicazione a questa terapia.

In tutti gli altri casi la corticotomia ortodontica non solo si può fare, ma è anche consigliata per accelerare i tempi del trattamento negli adulti. Portare un apparecchio per diversi mesi oggi può rappresentare un disagio dal punto di vista estetico ma anche psicologico.

Molti pazienti preferiscono optare per una via più breve, anche se più invasiva, per risolvere la propria situazione. La corticotomia dentale è la soluzione: una terapia con pochissimi effetti collaterali o complicanze che è capace di accelerare di gran lunga i tempi dell’ortodonzia.

In media, grazie a questa tecnica si riesce a raggiungere il risultato desiderato risparmiando circa i due terzi del tempo che normalmente si impiegherebbe.

Leggi anche l’articolo: Irrigazione canalare: cosa è e a cosa serve

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Irrigazione canalare: cosa è e a cosa serve

L’irrigazione canalare è diventata negli anni una pratica sempre più importante e valorizzata dai dentisti. Lo scopo dell’irrigazione canalare è eliminare il tessuto vitale o necrotico, i microrganismi, virus e batteri dall’interno del sistema canalare del dente.

Per anni le “fasi principali” delle terapie endodontiche sono state accesso, sagomatura e otturazione. L’irrigazione non veniva neppure considerata ed era relegata ad essere una semplice conseguenza dell’introduzione nei canali di uno strumento riempito di sostanze disinfettanti. Oggi è sempre più chiaro che il successo delle otturazioni e di altre operazioni endodontiche dipenda in gran parte da come vengono irrigati i canali del dente.

Il cambio di paradigma consiste nel vedere la sagomatura come propedeutica all’irrigazione e l’otturazione come la fase in cui si preserva lo stato dei canali irrigati sigillandoli lungo le tre dimensioni.

Esistono diverse sostanze che possono essere usate per l’irrigazione e ognuna ha delle specifiche tecniche e di applicazione che la rendono preferibile in determinate condizioni. La ricerca negli ultimi anni ha lavorato a lungo per permettere ai dentisti di avere le sostanze, ma anche gli strumenti più adatti per fare un’irrigazione canalare al meglio.

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Irrigazione in endodonzia: definizione

L’irrigazione canalare in endodonzia è la pratica per cui il medico usa una sostanza disinfettante a più riprese per detergere meccanicamente e chimicamente il sistema dei canali radicolari.

L’obiettivo dell’irrigazione è l’eliminazione della parte infetta dei canali che può essere composta da diversi elementi:

  • Virus e batteri
  • Detriti generati dall’azione meccanica degli strumenti
  • Tessuto vitale e necrotico
  • Altri microrganismi e i loro prodotti di degradazione.

Sono tre le condizioni che ostacolano la detersione dei canali radicolari: in primis, la natura polimicrobica dei batteri e la loro organizzazione in biofilm. Quando i batteri si organizzano in comunità co-aggregate formano una matrice che fa da barriera meccanica nei confronti delle soluzioni antibatteriche.

Anche lo smear layer che si crea in presenza dei detriti prodotti dagli strumenti meccanici e la complessa anatomia dei canali stessi rendono difficile l’assorbimento dell’irrigante e dunque la disinfezione canalare.

Proprio per queste difficoltà diventa fondamentale detergere accuratamente i canali radicolari prima di una qualsiasi otturazione. Una detersione approssimativa lascia spazio agli elementi infetti di sopravvivere e prosperare all’interno del dente creando nel tempo complicanze che comportano il fallimento dell’otturazione.

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Disinfezione canalare: best practices

Ecco di seguito un protocollo di disinfezione canalare da seguire per assicurarsi di raggiungere un risultato di detersione concreto.

  1. Prima di introdurre qualsiasi strumento nella camera pulpare, lavare con ipoclorito di sodio al 5,25%. Asciugare gli eccessi e applicare gel di EDTA che lubrifica e agevola il passaggio della strumentazione.
  2. Dopo l’uso di ogni strumento, irrigare abbondantemente sempre con ipoclorito di sodio.
  3. Al termine della sagomatura asciugare e procedere a un lavaggio con EDTA 17% liquido per 5 minuti.
  4. Asciugare e fare abbondanti lavaggi finali prima di procedere all’otturazione. Usare ipoclorito di sodio rinnovandolo frequentemente e in profondità.

Durante tutto il processo, bisogna fare attenzione a segnali clinici che potrebbero indicare come necessario un maggior tempo di disinfezione canale. Per migliorare la digestione di residui organici eventualmente presenti è buona prassi praticare una tecnica di riscaldamento intracanalare. Al termine del trattamento disidratare con un lavaggio di alcool assoluto e asciugare con coni di carta.

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Irrigazione canalare: tipologie di irriganti

Da quando l’irrigazione canalare in endodonzia ha assunto particolare importanza, la ricerca ha investito tempo e risorse nell’indagare diverse sostanze irriganti per trovare le combinazioni migliori. Ecco dunque una lista e un breve approfondimento sugli irriganti più utilizzati oggi.

Ipoclorito di sodio: indispensabile per le sue caratteristiche antimicrobiche e per la sua capacità di dissolvere tessuti organici che lo distingue dalle altre sostanze. La sua concentrazione ottimale è al 5,25% e l’aumento di temperatura ha l’effetto di potenziare la sua azione solvente. Gli svantaggi dell’ipoclorito di sodio sono il fatto che da solo non riesce a raggiungere le zone più profonde del sistema canalare e la sua incapacità di rimuovere lo smear layer.

EDTA: un buon irrigante, spesso utilizzato in sinergia con l’ipoclorito di sodio per detergere perfettamente le pareti dentinali, anche nelle regioni più difficili da raggiungere. Bisogna impiegarlo a concentrazioni comprese tra il 15% e il 17%. Neppure l’EDTA rimuove completamente lo smear layer. Quando viene utilizzato occorre evitare tempi di azione superiori ai 10 minuti.

Clorexidina: poco efficace sui virus, ma consigliata per le sue proprietà antibatteriche. La sua azione continua nel tempo e viene utilizzata in soluzioni con concentrazioni che vanno dallo 0,1% al 2%. Purtroppo non riesce a dissolvere il tessuto pulpare.

Acido citrico: è consigliato se usato in associazione all’ipoclorito di sodio. L’acido citrico è molto efficace nella rimozione dello smear layer e la sua concentrazione varia dal 6% al 50%. Nonostante si usi in associazione all’ipoclorito di sodio, le due sostanze vanno comunque applicate separatamente durante l’irrigazione canalare.

Ogni irrigante ha dunque delle caratteristiche specifiche e la parola chiave per sceglierli bene è sinergia. L’utilizzo di due o più sostanze in combinazione aiuta a ottenere una detersione accurata e completa dei canali radicolari.

Leggi anche l’articolo: Sedazione cosciente in odontoiatria: come funziona e per chi è indicata

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Sedazione cosciente in odontoiatria: come funziona e per chi è indicata

La sedazione cosciente è una tecnica anestesiologica che permette al paziente di tenere sotto controllo l’ansia e la paura del dentista.  E’ molto meno invasiva delle anestesie che siamo abituati a conoscere e si somministra tramite inalazione. Il paziente indossa una mascherina da cui respira la soluzione di protossido d’azoto e ossigeno.

L’effetto arriva subito, dopo pochi minuti si percepisce una sensazione di benessere generale e tutte le tensioni sembrano sciolte. A differenza dell’anestesia totale, con la sedazione cosciente il paziente rimane sveglio e riesce a percepire correttamente tutto ciò che avviene attorno a sé. L’effetto è rapido sia nella comparsa che nello smaltimento di questa “anestesia”: quando si smette di inalare il protossido d’azoto con l’ossigeno, l’effetto svanisce nel giro di poco tempo.

Di effetti collaterali la sedazione cosciente non ne ha. In alcuni ragazzi può generare uno stato di euforia o al contrario di sonnolenza, ma nulla di più. L’unica accortezza che l’odontoiatra deve tenere presente è che la terapia fatica a funzionare in due casi:

  • Con bambini al di sotto dei 4 anni;
  • Con persone raffreddate, col naso tappato o altre malattie respiratorie. In questo caso si tratta di una difficoltà meccanica di base che impedisce di ricevere la terapia.

La sedazione cosciente, se usata correttamente, dà l’opportunità di accompagnare il paziente durante il trattamento, facilitando la sua collaborazione e aiutandolo a raggiungere il risultato che si è prefissato.

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Sedazione cosciente in odontoiatria

In primis prima di procedere con la sedazione cosciente il dentista effettua l’analisi della storia clinica della persona che ha davanti: un controllo è fondamentale perchè non basta che la persona si dichiari o manifesti comportamenti odontofobici. In questo modo il professionista può vedere se il paziente ha comorbidità oppure, nel caso delle donne, se si trovano in stato interessante. Questa tecnica è altamente sconsigliata sia nel primo, che nel terzo trimestre di gravidanza: la sedazione potrebbe indurre un parto prematuro.

La soluzione della sedazione cosciente rappresenta una tecnica innovativa in odontoiatria è si può dire che ci troviamo di fronte a una cosiddetta terza via per la cura dei pazienti. Mentre nella prima si tratta l’ansia delle persone semplicemente parlando con loro e nella seconda si interviene con un’anestesia totale, grazie alla sedazione cosciente è possibile intraprendere una via di mezzo, inducendo una sensazione di benessere generale e preservando la normale percezione vigile delle cose. La sedazione vigile è dunque una grande opportunità per il dentista, anche se alcuni addetti ai lavori non sempre la mettono in pratica, pure quando sarebbe più indicata.

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Sedazione cosciente per i bambini

La sedazione vigile viene impiegata soprattutto per bambini e adolescenti. In generale, i ragazzi sono i pazienti che più spesso provano paura e ansia quando devono andare dal dentista. Spesso, però, questo fenomeno non è dovuto tanto a una loro innata percezione del medico, quanto all’educazione che ricevono dai propri genitori e da chi sta loro intorno.

Il bambino non conosce il dentista finché non deve iniziare ad andarci. Non sapendo nulla, non può farsi a priori un’idea negativa di questa figura, perché non ha dei pareri a cui riferirsi. Ed è qui che i genitori devono fare attenzione: quando introducono il ragazzo al dentista devono assicurarsi di farlo nel migliore dei modi, con delicatezza e positività.

Una buona educazione permette al bambino di essere sereno quando si siede sul lettino e lascia che un professionista si prenda cura dei suoi denti. Questo è utile anche a lungo termine: se il ragazzo è spaventato sarà restio a farsi curare anche in età adulta anche quando ne avrà bisogno; se invece il primo contatto è positivo, allora è probabile che continuerà a farsi visitare e la sua salute dentale e orale sarà sempre curata nel migliore dei modi.

Nel caso che ormai sia “troppo tardi” la sedazione cosciente è un buon modo per migliorare la percezione che il bambino ha del dentista. Innanzitutto, grazie ad essa si farà trattare senza capricci e paure e poi, uscito dalla sala, avrà associato la visita ad un’esperienza positiva e sarà più facile che la volta successiva viva il tutto con più serenità.

 

Sedazione vigile per adulti

La sedazione vigile in ambito odontoiatrico può anche essere eseguita sugli adulti. Basti pensare che addirittura il 10-15% della popolazione evita del tutto di andare dal dentista perché ha paura, quindi non sono solo i ragazzi ad essere i più “terrorizzati”.

L’idea è mettere sempre la salute prima di tutto: se si riconosce di avere ansia quando si pensa di dover andare da un dentista o qualsiasi altro medico, occorre parlarne con il diretto interessato: in questo modo sarà in grado di aiutarti. Non c’è cosa peggiore che rinunciare a farsi curare e a vivere una vita sana per una semplice paura.

La sedazione cosciente per adulti è uno strumento nelle mani del dentista per aiutare le persone a superare lo stallo e magari anche a far capire che in fondo non c’è nulla di cui preoccuparsi.

Leggi anche l’articolo: Sbiancamento dentale: come funziona, tipologie, controindicazioni

 

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Sbiancamento dentale: come funziona, tipologie, controindicazioni

Lo sbiancamento dentale è uno dei trattamenti più richiesti al dentista. Tutti desiderano avere un sorriso bianco e luminoso e i modi per esaudire questa richiesta sono più di uno. In questo articolo spieghiamo il funzionamento di un trattamento sbiancante per denti, presentando le diverse vie che possono essere percorse per avere dei denti più bianchi di qualche tono.

Discuteremo anche delle controindicazioni al trattamento e di come gestire al meglio queste situazioni qualora si presentassero. Lo sbiancamento dei denti è l’intervento di base dell’estetica dentale, ovvero quell’approccio alla disciplina che studia le tecniche per curare i difetti dell’aspetto del singolo dente, come la discromia dentale, e delle arcate in generale.

 

Sbiancamento dei denti: come funziona

Prima di spiegare come funziona un trattamento di sbiancamento dentale, bisogna capire da che cosa è originato il colore che noi percepiamo. La tinta del dente infatti non è data solo dallo smalto come spesso si crede. Lo smalto è uno strato protettivo trasparente che incapsula la dentina, la vera sostanza responsabile della colorazione del dente.

Il colore del dente è dunque primariamente dato da ciò che sta al suo interno, ma è anche vero che lo smalto gioca un ruolo importante: se siamo abituati a consumare alimenti che creano macchie sui denti come the, caffè, pomodoro e curry è facile che lo smalto col tempo si macchi e perda la sua trasparenza.

Un trattamento professionale di sbiancamento dentale fa uso di una sostanza, il perossido di idrogeno (o perossido di carbammide), e di una luce a LED. Il perossido di idrogeno viene applicato sotto forma di gel su tutta la superficie dei denti del paziente. Questo prodotto permette l’apertura dei pori dello smalto e libera ioni in grado di attivare il processo sbiancante all’interno del dente. La luce a LED ha il compito di accelerare questo processo.

Quanto riesce a sbiancare un trattamento di questo tipo? Una seduta professionale di sbiancamento dentale può arrivare a migliorare la tinta del dente di 7 tonalità. In ogni caso l’efficacia dello sbiancamento dipende non solo dal trattamento in sé, ma anche in grande parte dal paziente e dalle caratteristiche intrinseche dei suoi denti.

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Sbiancamento denti: tipologie

Il trattamento di sbiancamento dei denti può essere fatto in diversi modi. Due sono i principali: lo sbiancamento dentale LED professionale e lo sbiancamento dentale domiciliare con l’ausilio di mascherine.

Sbiancamento dentale LED

Lo sbiancamento dentale con luce a LED è quello che avviene all’interno di uno studio dentistico. Le arcate vengono cosparse accuratamente di gel con perossido di idrogeno e la luce LED accelera la scissione della sostanza in ossigeno. Rispetto al trattamento casalingo viene utilizzata una miscela con percentuale maggiore di perossido di idrogeno, dunque si hanno risultati visibili fin da subito e tempistiche molto più brevi. Una sessione di sbiancamento dentale con luce a LED dura infatti circa 30 minuti.

Sbiancamento dentale a casa

I pazienti hanno anche la possibilità di optare per lo sbiancamento dei denti “a domicilio”. In questo caso si procede creando prima di tutto un calco della dentatura e le rispettive mascherine. Vengono poi consegnati al paziente la sostanza con perossido di idrogeno e una siringa per poterla spalmare sulla mascherina. Il paziente deve mantenere la mascherina applicata ogni notte per almeno 2 settimane. Il trattamento dura così a lungo perché la percentuale di perossido qui utilizzata è molto minore. Lo sbiancamento dentale a casa perde di efficacia se il paziente non rispetta la terapia o se assume troppo spesso alimenti pigmentati. Anche in questo caso è meglio se il paziente intraprende questo percorso con il dentista esperto come quelli dello Studio Dentistico Dottor Gola.

Esistono altri modi per sbiancare i denti. Ad esempio, lo sbiancamento veloce. Questo tipo di trattamento dalla durata di 10 minuti viene effettuato subito dopo la seduta di igiene orale professionale. Ha un’efficacia minore, ma riesce comunque a migliorare il colore dei denti di 2 o 3 toni.

L’utilizzo di dentifrici sbiancanti per un’operazione di sbiancamento è sconsigliato. I microgranuli contenuti in questi prodotti possono essere abrasivi e l’efficacia della loro applicazione è bassa e limitata nel tempo.

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Trattamento sbiancante denti: controindicazioni

Esistono delle controindicazioni all’eseguire trattamenti di sbiancamento per i nostri denti? Sì.

  • Prima di procedere allo sbiancamento bisogna assicurarsi che non siano presenti carie o altre fragilità nel cavo orale. In tal caso, si devono assolutamente sistemare queste situazioni prima di fare qualsiasi altra cosa.
  • Le gengive possono irritarsi. Il perossido di idrogeno o di carbammide possono irritare l’apparato gengivale se vengono a contatto con esso. L’irritazione è solitamente passeggera.
  • I denti aumentano la loro sensibilità. Agendo sui pori dello smalto e della dentina, il perossido di idrogeno aumenta la sensibilità del dente nel periodo immediatamente successivo allo sbiancamento. Durante questo lasso di tempo bisogna stare attenti a ciò che si mangia per non sforzare i denti o vanificare il trattamento.
  • Non bisogna esagerare. Soprattutto nel caso dei trattamenti a domicilio, è fondamentale rispettare le indicazioni dell’odontoiatra. Avere i denti bianchi può diventare una vera e propria ossessione e può arrivare a danneggiare il vostro sorriso.

Leggi anche l’articolo: Occlusione centrica e massima intercuspidazione: perché sono importanti

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Odontoiatria estetica: discromia dentale e otturazioni in composito

L’odontoiatria estetica è quella branca della materia che studia metodi di cura per le patologie dentali che rispettino la bellezza del sorriso del paziente. Molte delle problematiche a livello dentale e orale hanno come conseguenza un inestetismo, un difetto estetico. Due delle più frequenti sono le discromie dentali e le carie profonde.

La discromia dentale è la presenza di una variazione di colore del dente rispetto al resto delle arcate. Può essere estrinseca o intrinseca, ovvero riguardare o la superfice del dente o la dentina stessa. Le carie sono un processo distruttivo progressivo dei tessuti duri del dente (smalto, dentina e cemento). Quando raggiungono la profondità del dente devono essere otturate dopo la rimozione del tessuto cariato per evitare che si riformino. Anche le otturazioni possono generare inestetismi sul lungo periodo, soprattutto se il materiale per otturazioni odontoiatriche di cui sono fatte è troppo poroso.

Le soluzioni che preservano l’estetica dentale per questi casi sono molteplici e si dividono su più livelli in base alla gravità della situazione. Il primo passo è sempre l’igiene orale professionale: questo trattamento non invasivo riesce a risolvere i problemi più semplici e a prevenire i danni più gravi. Una volta completata la pulizia, si opta per una soluzione ad hoc per ogni paziente: si va dall’otturazione semplice all’installazione di faccette dentali o intere capsule che proteggano ciò che resta del dente.

L’obiettivo è sempre quello di riportare la dentatura in salute e di preservare allo stesso tempo l’estetica del sorriso del paziente.

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Discromia dentale: cause e tipologie

Una discromia dentale è una qualsiasi alterazione del colore del dente su una sua porzione o su tutta la sua superfice. Un’importante premessa: il colore del dente è dato dalla combinazione cromatica dello smalto e della dentina sottostante. Il primo è prevalentemente trasparente, mentre la seconda tende al giallo. La tinta dei denti infatti non è mai di un bianco puro, ma può tendere al grigio o al giallo in base alle situazioni.

La discromie si dividono in due grandi categorie:

  • Discromie estrinseche: si tratta di discromie superficiali e facilmente removibili. Le cause sono la scarsa igiene orale che provoca la formazione eccessiva di placca e tartaro e il consumo di cibi e bevande pigmentanti. Alcuni esempi sono il caffé, il vino rosso e la liquirizia.
  • Discromie intrinseche: sono discromie che si generano nella profondità del dente. Solitamente sono causate da traumi, malattie congenite o dall’assunzione prolungata di alcuni farmaci come il fluoro.

Il colore delle macchie aiuta a comprenderne l’origine:

  • Le macchie gialle sono tipiche di chi consuma molto caffè o sigarette. In alcuni casi sono dovute all’invecchiamento naturale del dente o si tratta di segnali che preludono a una carie.
  • Le macchie marroni sono spesso causate da un impiego errato di colluttori a base di clorexidina.
  • Le macchie nere sono carie in fase avanzata e sono causate da scarsa igiene orale o dall’assunzione frequente di cibi dolci e/o acidi.

Di fronte a una discromia dentale è fondamentale agire d’anticipo. Innanzitutto è bene riconoscere le cattive abitudini che ne favoriscono la generazione e cessarle il prima possibile. Se lo smalto o la dentina sono già stati compromessi è bene recarsi da un professionista per una pulizia profonda e accurata che cerchi di ripristinare tutto il possibile. La soluzione che prevede di installare faccette o capsule sul dente è solamente un punto di arrivo, una soluzione finale che viene adottata come ultima alternativa. Questo per prediligere interventi meno invasivi e che puntino a preservare il dente originale: per questo solitamente viene interpellato un professionista di odontoiatria conservativa.

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Otturazioni in composito: perché macchiano i denti

Nel momento in cui una carie ha raggiunto la profondità del dente diventa opportuno rimuovere il tessuto cariato e otturare ciò che resta. In questo modo il dente viene pulito e protetto da rischi futuri di infezione.

Per applicare un’otturazione il dente viene preparato secondo un preciso protocollo che prevede l’irruvidamento della superficie da ricostruire, l’applicazione dell’adesivo, la stratificazione e la modellazione del composito. Una volta terminata la procedura si prosegue con una prova masticatoria, per assicurarsi che il dente svolga la sua funzione, e una prova con filo interdentale, per verificare che non ci siano “gradini” ai margini dell’otturazione.

Anche le otturazioni però, col tempo, possono far emergere delle macchie sul dente. Il materiale per le otturazioni odontoiatriche è composto da due sostanze: i cristalli e il riempitivo. Soprattutto in passato, le proporzioni tra i due materiali privilegiavano il riempitivo. In questo modo il tessuto del composito risulta poroso e di conseguenza a lungo andare i coloranti si possono infiltrare senza incontrare solide resistenze. Per questo motivo, soprattutto per le otturazioni realizzate in passato, è possibile riscontrare delle pigmentazioni del materiale a danno dell’estetica del dente.

Di fronte a questa situazione si decide di sostituire l’otturazione con un amalgama meno poroso. Se questo non è possibile, si procede all’applicazione di faccette che coprano il dente, aggiungendo un ulteriore grado di protezione.

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Occlusione centrica e massima intercuspidazione: perché sono importanti

La masticazione deve essere un atto comodo e rilassato. Quando non è così, bisogna rivolgersi subito a un esperto. La mandibola si occlude più di duemila volte al giorno e il suo movimento è governato dall’articolazione temporo mandibolare, detta in gergo tecnico ATM.

In condizioni ideali l’estremità dell’articolazione, ovvero il condilo, è posizionato al centro della cavità glenoidale che lo accoglie e il movimento della mandibola è perfettamente centrato. Quando questo accade, se serriamo i denti la chiusura è perfettamente centrale e abbiamo il massimo numero di contatti possibili tra le arcate: raggiungiamo la massima intercuspidazione.

Nel corso degli anni, però, l’equilibrio della masticazione può rompersi: la perdita di un dente è la causa più comune, ma anche l’erosione per bruxismo o il semplice processo di crescita possono creare situazioni che vanno corrette il prima possibile.

Se non si interviene il paziente rischia di abituarsi ad una malocclusione che nel tempo crea dei disagi alla masticazione e dei danni importanti all’articolazione temporo mandibolare.

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Occlusione abituale e massima intercuspidazione

Con il termine relazione centrica si descrive quella situazione ideale per cui l’occlusione della mandibola è perfettamente centrata e la posizione del condilo sulla cavità dell’articolazione temporo mandibolare è la più alta possibile. In questo stato, i denti si toccano nel numero più alto di punti possibile: si verifica dunque la massima intercuspidazione.

Tuttavia, quasi nessuno ha la fortuna di vivere questa situazione e la maggior parte delle persone non ha una relazione perfetta tra condilo e cavità glenoidale. La chiusura di conseguenza non è centrale, ma inizialmente questo non procura fastidi: i muscoli che governano la posizione della mandibola infatti trovano uno stato di equilibrio che possa conciliare l’articolazione, la conformazione delle arcate e la loro tensione. Questo stato viene chiamato occlusione abituale.

Questo equilibrio può essere deleterio nel tempo o addirittura alterarsi nel caso della perdita di uno o più denti.

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Quando l’equilibrio si rompe: tensione muscolare

Quando si perde un dente viene eliminato un elemento chiave nel gioco delle forze che agiscono nella bocca. La perdita ha delle conseguenze sui denti vicini, che cercanno di riposizionarsi. Nel tempo c’è il rischio che questi si piegano e il paziente va incontro alla limitazione dell’apertura della bocca. Questi cambiamenti vanno a stressare la mandibola, a cui viene chiesto lo sforzo di adattarsi nei movimenti.

Prima che questo accada, i muscoli masseteri e temporali vanno in tensione cercando di mantenere la mandibola nella posizione abituale. Questa tensione è motivata dall’assenza di un sostegno che fino a poco tempo prima era presente, ovvero quello del dente caduto. La masticazione con questi muscoli tesi più del solito risulta fastidiosa e impegnativa.

Una volta che i denti completano il loro processo di riposizionamento, i muscoli trovano un nuovo stato di equilibrio, ma la mandibola continua a soffrire e l’occlusione centrica è perduta. In questi casi è fondamentale intervenire il prima possibile sul paziente. Infatti prima si interviene e più è facile ristabilire l’altezza di masticazione corretta e riportare l’articolazione e muscoli in una condizione di equilibrio.

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Gli obiettivi del trattamento: avvicinarsi alla condizione ideale dell’occlusione centrica

Quando si è di fronte a casi di rottura dell’occlusione centrica e dell’equilibrio di masticazione, le terapie hanno fondamentalmente 5 obiettivi di priorità variabile da caso a caso:

  1. Correggere il rapporto condilo-discale. Il primo obiettivo è quello di curarsi che il condilo sia portato nella posizione migliore possibile e che accompagni al meglio il processo di masticazione. Correggere il rapporto tra condilo e cavità glenoidale permette all’articolazione di non deteriorarsi e danneggiarsi nel tempo e di riavvicinarsi alla massima intercuspidazione;
  2. Procurare rilassamento muscolare. Quando un paziente termina la terapia non deve avere la sensazione di tenere sempre sotto sforzo i muscoli masseteri e temporali. Essi sono responsabili dell’avanzamento e dell’arretramento della mandibola e devono trovare un punto di equilibrio confortevole in cui la loro azione è bilanciata e rilassata;
  3. Contrastare il serramento notturno o bruxismo. Il digrignamento dei denti, soprattutto nel caso di bruxismo dei bambini, è una delle condizioni più frequenti che genera problemi articolari e di masticazione nel tempo. Contrastare il bruxismo evita l’erosione dei denti e aumenta il rilassamento muscolare soprattutto nelle ore notturne;
  4. Riposizionare la mandibola affinché non vada ad inficiare sull’attività funzionale e strutturale del rachide cervicale. Questo obiettivo permette un miglioramento della postura dell’area cervicale, che è strettamente collegata a mandibola e lingua.
  5. L’eliminazione della propriocezione dell’occlusione abituale.

Data l’importanza e l’entità delle terapie che si protraggono nel tempo è bene affidarsi a un dentista esperto a cui rivolgersi non solo nell’emergenza, ma anche per dei check-up periodici.

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Qual è la differenza tra ortodonzia estetica e ortodonzia classica?

L’ortodonzia è una branca dell’odontoiatria che studia la disposizione dei denti e i rapporti che essi hanno con il resto del cavo orale. L’obiettivo dell’ortodonzia è risolvere gli squilibri che crea un’errata morfologia dentale, migliorando respirazione, masticazione e fonazione.

La terapia ortodontica produce risultati migliori se iniziata da giovani, dato che si interviene già nel processo di crescita e di costituzione della dentatura. Tuttavia, anche gli adulti si affacciano all’ortodonzia ottenendo comunque buoni risultati: nel loro caso, oltre al trattamento ortodontico può rendersi necessaria un’operazione maxillo-facciale o l’inserimento di protesi per correggere le situazioni più gravi.

L’ortodonzia può essere divisa in alcune categorie che in questo articolo analizzaremo. Allineare i denti, sia da giovani che da adulti, è importante e non solo per motivi estetici: una dentatura corretta evita di sviluppare problemi articolari come i disturbi temporo mandibolari, infettivi e ossei.

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Tipologie di ortodonzia

Sono quattro le categorie in cui si declina l’ortodonzia. La prima distinzione che possiamo fare è tra ortodonzia fissa e mobile.

L’ortodonzia fissa utilizza dispositivi che vengono attaccati in maniera permanente ai denti del paziente fino al termine della cura. I vantaggi di questa scelta sono l’azione continua che l’apparecchio esercita sulla dentatura e il fatto che il paziente non debba preoccuparsi di mettere e togliere il dispositivo in continuazione.

Per quanto riguarda l’ortodonzia mobile, essa fa uso di dispositivi rimovibili che vanno indossati almeno per un determinato numero di ore al giorno, in base alla terapia prescritta dall’odontoiatra. I vantaggi di questa categoria sono la possibilità di avere una miglior igiene orale e di poter evitare di indossare il dispositivo per tutto il giorno.

Oltre a questa categorizzazione, possiamo distinguere le varie soluzioni ortodontiche in visibili e invisibili.

L’ortodonzia visibile prevede l’installazione di apparecchi visibili da chi guarda il sorriso del paziente. L’ortodonzia visibile è anche detta classica in quanto è storicamente più longeva.

L’ortodonzia invisibile, o estetica, è una novità degli ultimi anni e consiste nell’applicazione di dispositivi invisibili, sia fissi che mobili, per correggere la posizione dei denti. Si tratta di soluzioni più costose rispetto a quelle classiche, ma hanno il vantaggio di non intaccare l’estetica del sorriso del paziente per tutta la durata del trattamento.

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Ortodonzia fissa

L’ortodonzia fissa è un trattamento che prevede l’installazione di apparecchi fissi, che restano attaccati ai denti del paziente per tutta la terapia. Si preferisce adottare questa soluzione soprattutto per permettere spostamenti ampi e complicati all’interno della dentatura. Infatti, la forza esercitata da dispositivi fissi è solitamente maggiore rispetto a quella esercitata dai dispositivi mobili.

L’apparecchio fisso può essere metallico o trasparente in ceramica. Si può optare anche per staffe linguali che, invece di posizionarsi all’esterno dell’arcata, si applicano al suo interno, riducendo la visibilità del dispositivo al minimo indispensabile.

Durante la prima settimana di applicazione il paziente potrebbe sentire un fastidio più o meno intenso dovuto alle nuove forze agenti sulla dentatura, ma seguendo i consigli del dentista, si può gestire al meglio questo periodo.

 

Ortodonzia mobile

L’ortodonzia mobile consiste nell’applicazione di dispositivi rimovibili dal paziente. Può essere intrapresa sia da bambini che da adulti, ma va sempre rispettata l’indicazione del dentista sui tempi di utilizzo.

Gli apparecchi per ortodonzia mobile si dividono in tre gruppi:

  • Meccanici: la classica placchetta mobile, usata per spostare i denti o in funzione di mantenimento post-terapia.
  • Monoblocco: utili non solo per correggere la posizione dei denti, ma per indirizzarli anche durante la crescita.
  • Estetici: si tratta delle mascherine trasparenti rimovibili, utili a correggere i disallineamenti più piccoli.

 

Ortodonzia invisibile

L’ortodonzia invisible è nata principalmente per venire incontro alle esigenze estetiche di chi necessita di terapie ortodontiche. Sono incluse nella categoria dell’ortodonzia invisibile:

  • L’ortodonzia linguale: che prevede dispositivi installati all’interno dell’arcata invece che davanti, riducendo al minimo la loro visibilità.
  • Mascherine trasparenti: ovvero dispositivi mobili facilmente indossabili e removibili dal paziente. Si tratta della soluzione meno visibile in assoluto ed è adatta soprattutto per le correzioni più piccole.

E’ fondamentale per questo tipo di terapie la collaborazione del paziente che è chiamato a rispettare i tempi di utilizzo del dispositivo affinché il trattamento abbia effetto. Le tecniche di ortodonzia invisibile sono in costante sviluppo e il loro obiettivo è cercare di conseguire lo stesso risultato di quelle più ‘classiche’, rispettando l’estetica del sorriso dei pazienti.

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Perché raddrizzare i denti è importante

Intraprendere un percorso di ortodonzia, che sia essa ‘classica’ o ‘invisibile’, con apparecchi fissi o mobili, è importante e non solo per motivi estetici. Dei denti posizionati correttamente permettono di evitare problemi articolari della mandibola, respiratori e di fonazione.

Per esempio, in presenza di un dente inclinato, l’altezza di masticazione si riduce e l’articolazione inizia a schioccare e a deteriorarsi col tempo. Inoltre, nella zona del dente inclinato è difficile la pulizia quotidiana, lasciando spazio ad alterazioni del cavo orale come la carie dentale. Il fattore estetico, dunque, è solo una conseguenza dell’avere una dentatura ben posizionata e in salute.

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Disturbi temporo mandibolari: limitazione apertura della bocca

I disturbi all’articolazione temporo mandibolare (abbreviata in ATM) spesso sono prevenibili, a patto di conoscerne le cause. L’articolazione della mandibola è una delle più complicate che possediamo: è composta dal condilo mandibolare, dalla cavità glenoidea dell’osso temporale e da un disco fibrocartilagineo tra i due, che evita gli sfregamenti.

Uno dei disturbi che interessano maggiormente l’ATM è il mancato rapporto occlusale che determina l’accorciamento dell’altezza di masticazione: gli equilibri delle forze del cavo orale si alterano e tutto ciò si ripercuote sull’articolazione. In questo quadro clinico l’articolazione duole, schiocca o provoca addirittura cefalea, quindi bisogna intervenire il prima possibile per evitare che lo strato fibroso e di cartilagine si deteriorino definitivamente.

Per prevenire questi disturbi bisogna ripristinare l’altezza di eventuali denti abrasi, sistemare le otturazioni incongrue,  riparare i denti scheggiati, sostituire i denti mancanti e riconoscere e curare il bruxismo il prima possibile. Queste sono le cause più frequenti del progressivo deterioramento dei denti e dell’articolazione.

Il lavoro congiunto dello specialista in ortodonzia e dell’esperto in implantologia può risolvere facilmente il problema ristabilendo l’altezza di masticazione e il giusto movimento della mandibola.

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Struttura dell’articolazione temporo mandibolare

Le articolazioni temporo mandibolari congiungono le ossa temporali del cranio alla mandibola. Sono due, una per lato del viso, e si trovano sotto alle orecchie.

La struttura e la meccanica dell’articolazione sono particolarmente complesse. Le parti che la compongono sono:

  • Il condilo della mandibola che è un processo dell’osso mandibolare che si estende a forma di oliva da ognuno dei lati dell’osso.
  • La cavità glenoidea dell’osso temporale.
  • Un disco fibroso e di cartilagine che si pone tra i due ed evita la presenza di attriti.

Nel momento in cui apriamo la bocca, l’articolazione temporo mandibolare si muove seguendo tre fasi. Nei primi 25 mm di apertura c’è una rotazione pura del condilo mandibolare, nei successivi 20 mm esso inizia a scivolare in avanti e, negli ultimi 5 mm, ruota ancora. Il disco si muove insieme al condilo per mantenere i contatti articolari.

L’apertura e la chiusura della cavità orale non sono gli unici movimenti permessi dall’ATM. Essa, infatti, permette anche la protrusione della bocca e la sua lateralizzazione.

Una delle articolazioni più complicate del corpo, insomma, che può infiammarsi e deteriorarsi se non si fa attenzione alla salute e alla posizione dei propri denti.

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Disturbi temporo mandibolari: le cause e i sintomi principali

Quando c’è un problema all’articolazione temporo mandibolare i sintomi rilevati dal paziente sono vari e non specifici. Tra i più comuni abbiamo:

  • Dolore all’articolazione.
  • Schiocchi o rumori di sfregamento.
  • Limitazione o deviazione dell’apertura della bocca.
  • Mal d’orecchio o ronzii e fischi.
  • Cefalea, capogiri o vertigini.

In presenza di questi sintomi è necessario fare un controllo presso un dentista esperto che può diagnosticare con tramite un esame obiettivo o grazie alla diagnostica per immagini i disturbi all’ATM.

La causa più comune di questo deterioramento dell’articolazione temporo mandibolare è la riduzione dell’altezza di masticazione. Ciò accade quando i denti subiscono nel tempo delle alterazioni che vanno dall’abrasione, alla caduta. Infatti, soprattutto nel momento in cui si perde un dente, le forze presenti nella bocca si ribilanciano, i denti tendono a modificare il loro orientamento andando verso lo spazio vuoto e riducendo di conseguenza l’altezza di masticazione.

Se il dente o i denti sono assenti solo lungo un lato dell’arcata si crea una asimmetria, quindi i disturbi si presentano tipicamente solo da un lato. Mentre, se i denti sono assenti da entrambi i lati dell’arcata si va incontro ad un danneggiamento più grave nel tempo dell’ATM che tende a compensare di continuo.

Il danno è proporzionale al numero di denti persi e al tempo in cui si è stati senza sostituirli. Per questo non bisogna trascurare ogni tipo di alterazione del cavo orale e ogni disturbo che rientra in questa casistica.

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Prevenzione e cura

Per prevenire i disturbi all’ATM occorre rivolgersi ad un dentista esperto che deve tenere in condiderazione una serie di fattori:

  • Osservare se il paziente presenta sintomatologia e segni di bruxismo
  • Osservare se gli spazi e l’allineamento dei denti risulta corretto
  • Analizzare lo stato delle otturazioni
  • Analizzare l’integrità dei denti
  • Verificare la presenza di tutti i denti lungo le arcate

Più tempo passa senza che vengano presi dei provvedimenti e più il danno sarà maggiore: in quanto l’articolazione interessata viene utilizzata quotidianamente dal paziente. Se l’equilibrio su cui opera non è perfetto si va incontro a seri problemi, in quanto all’inizio si deteriorerà il disco fibroso dell’articolazione, poi toccherà alla cartilagine e infine alle ossa che sfregheranno l’una sull’altra.

La cura va eseguita in coppia dall’ortodonzista e dall’implantologo. Il primo si occupa di riportare i denti alla posizione corretta, creando gli spazi adatti; mentre il secondo riempie gli spazi vuoti causati dall’edentulia con gli impianti.

L’implantologia può avvenire su un solo dente, su un settore o su un’intera arcata dipendentemente dalla gravità della situazione. I denti sotto stretta osservazione sono i molari in quanto definiscono l’altezza di masticazione: quando il paziente chiude la bocca è l’appoggio piatto di questi denti che determina l’occlusione più o meno corretta.

Limitazione apertura della bocca: perchè evitare le protesi mobili

Perchè è meglio evitare le protesi mobili? Purtroppo questo tipo di protesi, per quanto possano essere considerate comode nel breve periodo, generano nel tempo problemi di natura funzionale determinando la limitazione dell’apertura della bocca. Questo si verifica perchè simili protesi, appoggiandosi sulla gengiva, generano il riassorbimento dell’osso sottostante andando così a ridurre l’apertura verticale del cavo orale: perchè per recuperare questa ritrazione ossea occorrono protesi sempre più lunghe che diventano ingombranti e di difficile gestione per il paziente.

Meglio quindi sempre optare per un impianto fisso che ristabilisce e bilancia i rapporti di forza della cavità orale, evitando di impattare negativamente su gengive e ossa.

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Bruxismo bambini: riconoscimento, cause, terapia

Il bruxismo notturno è molto frequente nei bambini in età scolare, in particolare nei bambini tra i 5 e i 7 anni e nei ragazzini tra gli 11 e i 12 anni. Può essere un disturbo ereditario e si presenta nei maschi più frequentemente che nelle femmine.

Questo disturbo consiste in un’attività ripetitiva e incontrollata dei muscoli masticatori che continuano a serrare la mandibola contro la mascella anche quando la bocca non è coinvolta in movimenti funzionali come masticare o parlare.

Le conseguenze del bruxismo infantile possono essere anche piuttosto gravi, per questo è assolutamente necessario procedere a una diagnosi precoce del disturbo ed eseguire controlli periodici della dentatura del bambino per valutare la gravità del fenomeno e poi lavorare per definire una strategia di intervento.

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Bruxismo bambini: come riconoscerlo

Sono solitamente i genitori a riconoscere i primi segni di bruxismo notturno nei propri figli. I bambini che digrignano i denti di notte, infatti, producono un caratteristico rumore metallico a volte talmente forte da poter essere udito attraverso le pareti. Si tratta di un suono inconfondibile che difficilmente viene attribuito a una causa diversa dal bruxismo.

Tra gli altri sintomi del bruxismo infantile ci sono:

  • Stanchezza apparentemente immotivata, dovuta al fatto che il bambino non riesce a riposare in maniera soddisfacente.
  • Malessere generale e irritabilità al risveglio a causa dei microrisvegli da bruxismo che interrompono il sonno e che quindi fanno calare drasticamente la qualità del riposo notturno.
  • Affaticamento dei muscoli deputati alla masticazione, usura dei denti, mal di testa sono tutti sintomi che possono aiutare a confermare l’ipotesi che il bambino soffra di bruxismo notturno.

Bisogna specificare però che anche la comparsa contemporanea di tutti questi sintomi non conduce direttamente all’effettiva diagnosi di bruxismo, che può essere eseguita solo attraverso u nesame specifico: la polisonnografia. Questo esame consiste nel monitorare l’attività elettromiografica dei muscoli masticatori durante il sonno e nell’osservazione dei video registrati durante il riposo del piccolo paziente per esaminarne il comportamento notturno.

I bambini che digrignano i denti nel sonno, infatti, cambiano spesso posizione a causa dei microrisvegli indotti dal bruxismo o dai problemi respiratori che possono essere considerati una concausa del bruxismo stesso.

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Bruxismo notturno bambini: cause

Non si può parlare di un’unica causa per il bruxismo infantile. Questo disturbo deriva spesso da un insieme di cause di varia natura.

Lo stress emotivo è indicato spesso come la causa principale di bruxismo infantile. La separazione dei genitori, oppure la nascita di un nuovo fratellino sono tra le cause manifeste di stress nei bambini, ma non bisogna trascurare l’esame delle cause di stress meno palesi.

Problemi nei rapporti con i compagni di scuola oppure lo stress legato al passaggio da una scuola di grado inferiore a quella di grado superiore sono possibilità che vanno sempre prese in considerazione.

Anche la paura di andare a letto o di addormentarsi può essere causa scatenante del bruxismo, poiché il bambino entra in contatto diretto con quelle paure razionali e irrazionali che riesce a tenere a bada durante il giorno, grazie alla compagnia degli adulti e allo svolgimento di attività che lo tengono impegnato.

Un’altra causa del bruxismo infantile è la predisposizione genetica e quindi l’ereditarietà familiare del disturbo. Uno dei primi controlli da fare quando si teme che il bambino digrigni i denti nel sonno è chiedere ai parenti più prossimi se da bambini hanno sofferto di bruxismo.

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Terapia del bruxismo infantile

Quando i sintomi a cui abbiamo accennato si manifestano in maniera chiara e continuativa si parla di bruxismo probabile. In questo caso è necessario sottoporre il piccolo paziente a un controllo odontoiatrico e, nella maggior parte dei casi, il medico propone soltanto di tenere il fenomeno sotto osservazione senza intervenire.

Questa scelta è motivata dal fatto che, in linea generale, il bruxismo nei bambini tende a scomparire spontaneamente alla fine dell’eruzione di tutti i denti da latte.

Qualora questo disturbo dovesse continuare a manifestarsi anche dopo l’eruzione dell’ultimo molare deciduo, allora si può prendere in considerazione un intervento attivo da parte dell’odontoiatra.

Dopo aver diagnosticato con certezza il bruxismo, il dentista controlla se tra le cause scatenanti del disturbo ci siano la forma e le dimensioni del palato: eventualmente occorre ricorrere a determinati apparecchi ortodontici per creare il giusto spazio. Il bite che viene usato nei pazienti adulti è sconsigliato per i bambini.

In ogni caso è sempre meglio fare un percorso con uno specialista in odontoiatria pediatrica.

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